FAREMO UN VOTO!

PARROCCHIE DELLA CITTÀ DI GALLARATE

In cammino per il VOTO
presso il Santuario
della MADONNA IN CAMPAGNA

Progetto approvato dall’assemblea dei consigli pastorali e degli affari economici delle parrocchie cittadine.
Basilica di Santa Maria Assunta, 20 luglio 2020.

Noi cristiani, fedeli
delle parrocchie della Città di Gallarate,
ci mettiamo in cammino

Nel video Youtube, don Riccardo spiega il significato del VOTO
Mese di Maggio: Meditazione a Madonna in Campagna

Vogliamo arrivare ad emettere pubblicamente un VOTO, nel mezzo di questo momento di prova a causa dell’emergenza sanitaria che dal 23 di febbraio 2020 ha fermato le celebrazioni liturgiche, ha chiuso le scuole, ha bloccato nelle settimane successive le attività produttive e ci ha chiesto di rimanere in casa per mantenere il distanziamento sociale ed evitare la diffusione del contagio, che
comunque si è portato via tante persone care.

Questa esperienza ha messo e sta mettendo alla prova la nostra fede. Il voto che vogliamo emettere insieme, come parrocchie della Città di Gallarate, si ispira all’intuizione dei nostri predecessori che nel lontano 1630 fecero voto alla Madonna presso il Santuario cittadino di Madonna in Campagna e chiesero la Grazia della guarigione dalla peste.

Per il cristiano la Grazia che si chiede, anche quella della salute del corpo, non è mai una questione traducibile nel solo linguaggio medico o del benessere sociale; esprime invece, già negli stessi Vangeli, la richiesta di sollievo nella prova a cui la fede è sottoposta anche a causa della male.

Si chiede la Grazia della salute e si chiede insieme la Grazia della salvezza: che la cattiva salute non ci allontani dalla fede, ma che, anzi, essa stessa diventi occasione per “una vita migliore”, così come Alessandro Manzoni fa dire ai protagonisti del suo romanzo, che hanno dovuto attraversare la peste, proprio quella del 1630. Renzo e Lucia conclusero così:

che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore” (Promessi sposi, cap. XXXVIII).

Chiediamo la Grazia perché questo guaio riletto e rivissuto nella fiducia in Dio diventi utile per una vita migliore. E’ arrivato all’improvviso e dalla sua visita, peraltro non esaurita, sappiamo che altri guai ci aspettano: le difficoltà economiche già presenti e quelle prevedibili; le relazioni sociali ferite; il vuoto lasciato dalle persone che si è portato via.

Qualcosa si deve fare

Faremo un voto. Il voto è un atto religioso spontaneo, che poi il cristianesimo assume e purifica e trasfigura in relazione alla consapevolezza del rapporto vero con Dio che Gesù ci ha rivelato.

Non sarà perciò un baratto con Dio, come a dare qualcosa a Dio per chiedergli altro in cambio. Però sarà qualcosa che ha una dimensione sacrificale. Leghiamo il voto a un dono che offriamo.

La dimensione sacrificale che accompagna il voto esprime la consapevolezza che, è vero che noi la pandemia non siamo andati a cercarcela, però sappiamo che se i nostri stili di vita e la nostra organizzazione sociale fosse stata un’altra, forse avrebbe fatto meno danni.

  • Faremo un voto, come atto penitenziale, per le nostre responsabilità, perché i guai provocati non erano tutti o del tutto imprevedibili, perché chiediamo la Grazia di rimediare ai danni di cui siamo stati causa: per le nostre distrazioni e inadempienze, per le timidezze nostre di singoli fedeli, di comunità cristiane e della Città in cui viviamo e di cui ci sentiamo parte inseparabile.

La dimensione sacrificale esprime altresì la consapevolezza che, se non ci fossero state relazioni solidali, spirito fraterno e buone istituzioni, i danni sarebbero stati molti di più.

  • Faremo un voto per celebrare il bene che c’è stato e dal quale dobbiamo farci educare, perché ci son stati esempi di qualcuno che il rischio lo ha messo nel conto e si è gettato nella sfida con atti che possiamo mettere sotto il capitolo cristiano della carità. Perché vogliamo la Grazia di iniziare una tappa nuova di un percorso di gratuità, dove, partiremo anche delle virtù che abbiamo scoperto in noi e nelle nostre comunità, per prendere slancio per progetti che esprimano la gioia esuberante del Vangelo di Gesù.

Non vogliamo dimenticare e onoreremo la memoria dei morti che il virus ci ha portato via. Non diremo che sono morti a causa del virus, ma diremo che nonostante il virus non hanno rinunciato alla loro responsabilità familiare, sociale e civile. Sono caduti perché consapevolmente, con fede e per amore, hanno rischiato. Anche di chi fosse stato contagiato casualmente diremo che questo è avvenuto perché si sono consegnati con fiducia alle relazioni sociali, le hanno cercate, come un bene cui sembrava di mancare di riguardo prendendo precauzioni di distanziamento inusuali.

L’irruzione della pandemia è stata come un rivelazione: ci siamo conosciuti nelle nostre colpe ma anche nelle nostre virtù. Abbiamo imparato e non vogliamo dimenticare.

  • Faremo quindi un voto perché chiediamo la Grazia di non dimenticare la lezione, e chiediamo la Grazia di imparare da quello che è accaduto per uscirne con una vita migliore.
  • Faremo un voto perché chiediamo la Grazia di guarire presto dalla pandemia e da tutti gli altri mali, perché siamo fragili e non sappiamo quanto resisterà nella prova la nostra fede.

Prenderemo come modello il canto del Magnificat con cui Maria contempla il senso della storia tutta, che dall’inizio della creazione, dalle promesse che in essa erano inscritte, si estende fino al glorioso compimento finale, dove nulla andrà perduto. Guarderemo a Maria che “custodiva tutte queste cose e le meditava nel suo cuore”. Ci assumiamo come comunità cristiane della Città questo ruolo materno, che fa memoria dei fatti accaduti per aiutare i figli a leggere e valutare nel loro senso i nuovi fatti che stanno per accadere. Perché quello che è accaduto e che accadrà trovi il suo senso.

Restare a casa

Di tutte le esperienze vissute in questo periodo, vogliamo prendere l’immagine simbolo della casa. Ci è stato detto di restare a casa e questa scelta ci ha permesso di guardare in modo nuovo a quel bene che è la casa.

La casa ci ha protetto, ci siamo trovati a vivere condizioni nuove tra le mura domestiche: a vivere insieme genitori e figli tutto il giorno, magari a lavorare e a studiare da casa. Qualcuno in casa si è trovato ad essere solo; qualcuno ha dovuto chiudersi dentro per la troppa fragilità della sua salute. Dalla propria casa qualcuno si è accorto del proprio vicino; sono nate nuove relazioni di buon vicinato. Siamo rimasti a casa e abbiamo riscoperto il bene della casa.

Le case sono state visitate dai volontari della Protezione Civile, della Croce Rossa, della Caritas e degli altri gruppi di solidarietà legati alla comunità cristiana. Siamo stati nelle case di chi era in quarantena e di chi era troppo frangile e non poteva uscire per la spesa, nelle case di chi era in attesa della cassa integrazione e intanto chiedeva di potersi assicurare il vitto quotidiano.

La casa qualcuno non l’aveva e noi siamo stati anche nei loro luoghi di rifugio per far pervenire anche a loro i servizi che la solidarietà delle parrocchie metteva a loro disposizione.

Ci siamo accorti di ciò che solo i volontari Caritas più addentro erano a conoscenza, che della cinquantina di persone che frequentavano il Ristoro del Buon Samaritano e le docce di Casa di Francesco, metà una casa l’aveva, ma non aveva magari la doccia perché non si organizza col poco che pure ha e non riesce a pagare il gas. Ci siamo accorti che venivano da noi non solo per il bisogno di igiene personale e di un pasto fatto bene, ma anche per trovare un minimo di relazioni umane. In quei giorni il pasto veniva consegnato a casa o nei luoghi di rifugio, ma non aveva il sapore della relazione umana che si stabilisce quando qualcuno ti fa sedere a tavola e passa a servirti. Perché è così che si accolgono gli ospiti al Ristoro del Buon Samaritano. Perché anche a chi arriva a fare la doccia si offre un caffè e gli si chiede come sta.

La casa altri l’avevano, ma non erano capaci di governarla; diventava inabitabile perché in quel periodo i volontari non potevano entrare per quelle pulizie periodiche che rendono umani gli ambienti della vita quotidiana. Insomma, ci siamo accorti tutti di quello che alcuni già sapevano, che cioè qualcuno cercava nei luoghi di accoglienza e di servizio non solo il cibo e la doccia, ma cercava qualcosa che assomigli ad una casa, un baricentro per non smarrirsi per strade anonime.

Qualcuno purtroppo si è smarrito e due anime fragili hanno tragicamente cercato la morte e perduto la vita. Due ragazzi di 19 e 26 anni, abbandonati nella loro infanzia brasiliana, raccolti dalla strada ed educati da famiglie delle nostre terre, che non hanno potuto curare del tutto le ferite del passato. Le violenze subite nell’infanzia, riemerse nell’età adolescenziale, hanno prodotto squilibri di comportamento per i quali, dobbiamo dirlo, hanno subito altri maltrattamenti e insulti in età giovanile proprio qui nelle nostre terre.

Restare a casa potremmo prenderlo come impegno simbolico per prenderci cura di quella casa che è la Città che abitiamo. “Questa casa non è un albergo!” dice la mamma ai figli che crescono e vanno e vengono senza criterio. Ci prenderemo cura della nostra Città ma anche della nostra Terra, come casa comune: così anche le malattie potranno fare meno danni.

Tutto ha un prezzo

Avrà la forma di un segno visibile, l’opera che ci prenderemo l’impegno di realizzare. Sarà qualcosa di evidente, che si proponga davanti a Dio e davanti tutti e che impegni tutti, perché non sia il generico proposito di essere migliori, ma sia una dichiarazione pubblica che costringa a restare legati ad una promessa, per invocare la Grazia di una vita migliore.

Non è un baratto con Dio, come dicevamo, ma sarà un impegno che ci lega e ci predispone per raccogliere la Grazia che Dio è già lì pronto a riversare su di noi.

Realizzeremo un’opera di carità, perché è la carità solidale che ci ha salvato. Sarà un’opera che dovrà essere sostenuta economicamente. Restare vicino ai poveri ha un prezzo. Serve la presenza gratuita e variegata dei volontari, ma serve la competenza professionale di operatori qualificati.

Faremo una casa per ospitalità di emergenza. Non grande perché sia una casa e non un
dormitorio e perché possa accogliere anche chi è più fragile e sarebbe a disagio in ambienti troppo frequentati. La finanzieremo con le nostre offerte. Ricorreremo per gli adeguamenti degli immobili al contributo di un donatore che nel testamento ha lasciato dei beni alla sua parrocchia con particolare attenzione alla Caritas. Ma noi ci impegneremo a trovare per tre anni il necessario per per le presenze educative che facciano della casa un luogo sicuro e ordinato. Se altri contributi da enti esterni alle parrocchie arrivassero li utilizzeremmo per proseguire il progetto più a lungo o per integrarlo con altre proposte. Ma almeno tre anni i costi li copriremo noi. Su questo ci impegneremo. Raccoglieremo ogni anno per tre anni almeno 40.000 euro in donazioni da 1.000 euro: quanto il credito di imposta di 80 euro al mese che abbiamo in busta paga. Un gruppo quattro amici possono offrire 20 euro al mese ciascuno; l’associazione sportiva, il gruppo del coro, il gruppo catechisti, i preti, i clienti di un negozio o di un bar, tutti. Poi quelli che servono oltre i 40.000 euro li raccoglieremo in altre forme: per la carità quaresimale o facendo una lotteria o un pranzo solidale o promuovendo donazioni occasionali.

Sarà un segno. Sarà un’opera utile, che fa un servizio, ma che per lo stile con cui viene realizzata vuole dire di più, vuol essere un messaggio. Sarà un dono che facciamo alla Città, un atto d’amore. In tempi in cui rischiamo di chiuderci e di tenerci strette le risorse che ci danno sicurezza, noi metteremo a disposizione quel poco che abbiamo, come i cinque pani e due pesci del Vangelo. Vogliamo che faccia bene al corpo di chi sarà ospite e, insieme, parli e faccia bene al cuore di tutti.

Rinnoverà il modo di pensare ai nostri bilanci parrocchiali che in questi momenti hanno sofferto come avvenuto per altri. Partiremo dai bisogni, ci chiederemo cosa voglia il Signore da noi e, quando per vocazione avremo scoperto la carità a cui siamo chiamati, ci impegneremo a trovare anche le risorse economiche e di volontariato che sono necessarie.

Intanto daremo lavoro anche a degli educatori, che la casa la gestiranno.

Potremmo dedicare la casa a Santa Euròsia (Casa di Euròsia), figura femminile originaria della Boemia, martire per la fede a 16 anni nell’anno 880 in Spagna, dove si recava incontro allo sposo a cui era stata destinata; compatrona di Gallarate, la cui devozione fu portata in Città dai soldati spagnoli proprio al tempo della peste manzoniana.

Ma non ci limiteremo a questo. Intorno al progetto promuoveremo forme di servizio volontario per prenderci cura delle case di chi una casa l’avrebbe ma non riesce a renderla un ambiente ospitale. Potremmo istituire all’interno del coordinamento delle Caritas cittadine una compagnia di Santa Euròsia, fatta di volontari che vadano nelle case a servire progetti di dignità per le dimore di chi non ha i mezzi o l’iniziativa per governarle.

Dovremo guadagnarci fiducia, perché nessuno accoglie nell’intimità della propria casa chi è estraneo, ma il servizio svolto nel tempo dell’emergenza da numerosi volontari, spesso giovani, può essere un buon biglietto di visita da presentare.

La carità al centro

Siamo certi che così facendo mettendo la carità al centro, renderemo più sicura la nostra Città, perché il servizio educativo previene il bisogno di altri interventi di tipo repressivo, che vengono sempre dopo che il disordine c’è stato, e a poco servono per porvi rimedio.

Siamo certi che se si parte dagli ultimi daremo sicurezza anche agli altri cittadini, perché le persone più disagiate non rimarranno un’anonima banda, ma una comunità, fragile, sì, inquieta, sì, ma non abbandonata. Le relazioni che riusciamo a stabilire con loro, già sottraggono queste persone ai ricatti dei prepotenti, danno loro un riferimento protettivo. Qualcuno dice che se non si danno aiuti alle imprese le mettiamo in mano agli usurai e alle mafie; ebbene anche questi poveri se li abbandoniamo possono finire nelle trame di delinquenti che li usano per qualche sporco traffico in cambio di una mancia. E i danni li subiamo sempre noi.

Siamo certi che la carità chiede che il bene sia fatto bene e spinge a farlo con la gratuità delle cose belle. Non potremo dimenticare che il dottor Franco Moggio, benefattore del restauro artistico della Basilica, fu il donatore che provocò con un suo contributo le parrocchie, perché facessero qualcosa per le persone che allora vagavano smarrite per le strade del centro. E volle la carità al centro. E nacque così il Ristoro del Buon Samaritano. Perché la carità non è un’azione periferica a cui ci si rivolge dopo che si sono sistemate le cose più importanti con altri criteri. La carità è al centro dei nostri progetti di impresa, delle regole dell’economia. Lo è di fatto perché noi conosciamo operai e imprenditori che lavorano pensando di servire i loro clienti, di renderli contenti: fanno della carità la logica del loro lavoro. E sono quelli che anche nei tempi di crisi sanno stare in piedi. Noi li
conosciamo. Dedichiamo anche a loro questo segno.

Siamo certi che così facendo ricentreremo le nostre comunità su progetti solidali di carità: essa, la carità, dal centro si fa diffusiva e inclusiva; raggiunge tutti e tira dentro tutti. Non si barrica a difesa dell’esistente, ma si rilancia in progetti espansivi. Il contrario della carità è un’economia atrofizzata che vive in difesa del puro esistente e per la pura sopravvivenza. La carità è principio di sviluppo.

La data e il luogo

Ci troveremo pertanto a Madonna in Campagna sabato 12 settembre. Il programma lo
definiremo nel corso dell’estate. Sarà certamente una giornata intera di pellegrinaggio, con la chiesa aperta, con momenti ripetuti di preghiera e di affidamento al Signore sotto lo sguardo di Maria.

Nella settimana precedente ricorderemo i nostri morti, con una Messa in ciascuna parrocchia martedì 8 settembre festa di Santa Maria Nascente, la Madonnina a cui è dedicato il Duomo di Milano.

A nome dei parroci don Giovanni Ciocchetta, don Mauro Taverna, don Lugi Pisoni, degli altri sacerdoti, e dei Consigli pastorali e degli affari economici delle Parrocchie e Comunità pastorali della Città

il prevosto, monsignor Riccardo Festa

Gallarate, 20 luglio 2020